Lezioni di chimica: legami che uniscono distanziando

 
 

“Cambiare è ciò per cui siamo chimicamente progettati”, ed il cambiamento è un’arma a doppio taglio quando si è donna nella California degli anni Cinquanta, schietta, sensibile alle ingiustizie, combattiva, intelligente e anche chimico. Per cambiare serve sperimentare: nella vita, nella scienza, nella cucina, ed Elizabeth Zott, protagonista di Lezioni di chimica, serie targata Apple Tv+, tratta dall’omonimo best seller di Bonnie Garmus, e ideata, sviluppata e prodotta da Lee Eisenberg, lo fa continuamente, a caro prezzo, senza mai abbassare la testa e farsi calpestare dal mondo maschile, con la risolutezza che la sua formazione e il suo desiderio di indipendenza le hanno imposto. Nel 1951 Elizabeth (Brie Larson) è assistente di laboratorio all’Hastings, il più celebre e quotato istituto di ricerca degli Stati Uniti del Sud, lavora duramente a fianco del geniale Calvin Evans (Lewis Pullman), conducendo uno studio rivoluzionario sulla biogenesi, finché l’uomo, compagno di lavoro e di vita, non muore accidentalmente. Così  la scienziata si ritrova, licenziata, a dover cercare nuove possibilità, ardua impresa che si conclude con la conduzione di un programma televisivo che crea legami tra la chimica e la cucina, i due elementi centrali della vita della Signorina Zott.

Dalla fortissima connotazione da melodramma – per ragioni temporali e tematiche in forte rottura con quello della Hollywood classica – Lezioni di chimica, seguendo, seppur con il giusto distacco, lo schema ad incastro del romanzo, imposta la narrazione su come i legami tra gli individui creino e sostengano le situazioni della vita, anche le più drammatiche. La vicenda, anche quando marginale, dei personaggi non resterebbe in piedi da sola, risulterebbe incompleta e lacunosa. Le donne della serie, prima o poi, si tendono la mano l’un l’altra, coalizzandosi contro il sistema patriarcale che le opprime e umilia. Elizabeth è un modello di coraggio, di costanza, di talento, ha un cervello sempre in movimento che le permette di reinventarsi, di lavorare e di essere una madre single amorevole e attenta. Cuoca provetta con la passione per la sana alimentazione, chimico strabiliante dall’intelligenza spiccata e il talento per la dialettica divulgativa, è la donna che avanza, che da un lato spinge le casalinghe americane a seguire i loro sogni e ad indossare i pantaloni, e dall’altra rivendica il diritto alla pubblicazione scientifica, riuscendo dove Rosalind Franklin – mai nominata, ma palesemente evocata – in vita non è riuscita. Elizabeth e le altre, con la loro libertà conquistata irradiano di luce anche quegli uomini che vivono nell’ombra dell’insicurezza, dell’inadeguatezza ai sentimenti e alle relazioni. La scienza pragmatica e logica si scontra, dunque, con l’irrazionalità dei sentimenti, ma anche con la religione, silenziosa nemica d’infanzia di giovani menti orfane, sacrificate alla brutalità dell’abbandono o della violenza.  Elizabeth Zott e Calvin Evans si completano in vita e oltre essa, dialogano alla ricerca di una spiegazione plausibile per la sofferenza che squarcia la felicità raggiunta con fatica.

Tra le serie più attese della stagione, una volta conclusa, Lezioni di chimica lascia un bel ricordo ma non colpisce quanto ci si sarebbe aspettati. La regia, classica, alla ricerca di una pulizia e di una perfezione finta e senza guizzi di dinamismo e profondità, solletica i buoni sentimenti e invoca la lacrima facile senza troppi sforzi. Punta tutto sulla sua protagonista dallo sguardo indecifrabile che contrasta il corpo che, flessibile, nel privato si lascia smuovere dai sentimenti. Brie Larson, che dopo l’Oscar per Room si è lasciata trascinare ed inglobare dal mondo dei cinecomics per cui ha dato corpo a prove recitative scadenti, torna alla dimensione che più le si confà, quella drammatica, spogliata di sovrastrutture ed effetti speciali. 

Proprio come accade ai personaggi, anche le performance del cast femminile di contorno traggono forza da quella di Larson fino a giungere ad una pedissequa emulazione. Esempio lampante ne è Aja Naomi King con la sua Hariett Sloane, vicina di casa afroamericana di Elizabeth e avvocato alle prese con una crociata pubblica e privata contro il progresso che distrugge l’identità di una comunità – una nuova autostrada viene costruita in California e attraverserà il quartiere Sugar Hill, abitato da afroamericani e da una minoranza bianca comprendente la signorina Zott – è una calibratissima copia della scienziata, solo appartenente ad una differente etnia. Il personaggio, non a caso, è stato un’imprevista innovazione introdotta da Einseberg, in sostituzione di quella che nel romanzo era una cinquantenne vessata dal marito, prova di come il prodotto, nella sua drammaturgia studiata per la lunga durata e non per il binge watching, rifletta sulla necessità di ribadire il concetto, di mostrare una comune attitudine all’emancipazione e al rischio. 

Nonostante il nobile intento, è proprio questo principio di somiglianza simbiotica di genere a rendere eccessivamente patinata una storia a cui servirebbe una più vasta gamma di colori dell’animo. Le donne degli anni Cinquanta di Lezioni di chimica sono, perciò, troppo calate in un’anacronistica contemporaneità che, purtroppo, non corrisponde alla realtà. Sarebbe stato bello che tutte le casalinghe d’America avessero appoggiato le azioni femministe, che si fossero emancipate attraverso un programma televisivo, sarebbe stato ancor più edificante che gli uomini misogini e maschilisti si fossero lasciati spodestare con estrema facilità, che avessero imparato dai loro errori,  insomma sarebbe stata una conquista se la chimica in cucina e nelle relazioni avesse veramente spianato la strada alla parità, anche solo nella finzione, ma con dinamiche credibili, o almeno verosimili di una storia che non è stata scritta per essere una favola, ma una riflessione sul cambiamento.

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