Prisma: la serialità italiana nel mondo
Arrivata alla seconda stagione, Prisma (Amazon Prime Video, 2022 -) conferma di essere il perfetto punto di intersezione tra la complex tv e il teen drama nel panorama della serialità italiana contemporanea. Le cose che già funzionavano bene nella prima stagione qui funzionano ancora meglio e Prisma entra di diritto in quella manciata di serie italiane con ambizioni e potenzialità internazionali, i cui meccanismi dello storytelling e le tematiche trattate ne fanno narrazioni facilmente esportabili.
Rispetto alla prima stagione Prisma 2 procede a ritmo più sostenuto e si rivela presto più ambiziosa: i primi episodi iniziano esattamente da dove finiva la stagione precedente e gli spettatori si ritrovano da subito immersi nella situazione rimasta in sospeso più di un anno fa. Con il procedere della stagione, la narrazione porta a compimento diverse storyline, arrivando a imboccare una svolta crime negli ultimi episodi. La prima cosa che emerge è senza dubbio l’intelligenza con cui la serie gestisce il rapporto tra Andrea (Mattia Carrano) e Daniele (Lorenzo Zurzolo), il principale cliffhanger della stagione precedente e la sottotrama più delicata da recuperare. Se Prisma riesce in questa sfida è ancora una volta merito soprattutto del comparto attoriale: la serie sfoggia un coro di interpreti di primo livello, capaci di restituire la complessità dei protagonisti e anche in questo la serialità televisiva si dimostra più in gamba del cinema italiano, che spesso fatica a proporre giovani attori convincenti nel campo del mainstream. In Prisma l’efficacia delle interpretazioni è legata anche alla cura nella scrittura, che nasce da un processo di ricerca fatto di continui confronti con la generazione di adolescenti al centro della storia. È un modello che lo showrunner Ludovico Bessegato segue già da SKAM Italia (TIMvision, 2018-2019; Netflix, 2020 -), a sua volta ispirato alla produzione dell’originale norvegese.
È chiaro che parlare di Prisma senza discutere nel dettaglio i temi sociali che mette in scena comporterebbe un’analisi incompleta. La serie, anche in questa stagione, dialoga con l’attualità e, ancora di più, con i valori della generazione protagonista, valori di inclusione e accettazione che inevitabilmente affrontano questioni come l’identità di genere, il revenge porn, l’abilismo, ma anche temi più sfumati, come quelli al centro della storyline di Nina (Caterina Forza) e la new entry Akemi (Elisa Qiu Tian Scenti). Tuttavia, ciò su cui si vuole mettere l’accento in queste righe sono piuttosto le potenzialità internazionali di Prisma.
La serie, già con la prima stagione, sembra aver goduto del formarsi di una comunità internazionale di fan: chi scrive è rimasto piacevolmente stupito nel leggere sotto i post di Amazon Prime Video diversi commenti da utenti esteri che esprimevano grande attesa per la seconda stagione di questa serie italiana. È ben noto e ampiamente studiato che negli ultimi vent’anni la serialità italiana abbia iniziato ad essere concepita per circolare con facilità e successo all’estero, come risposta ad una sempre maggiore competizione nel mercato dell’audiovisivo, ma anche grazie all’emergere di nuovi canali di sfruttamento dei prodotti mediali. Da questo punto di vista, la presenza di un player internazionale forte come Amazon Prime Video può certamente garantire a Prisma una visibilità all’estero che altrimenti non avrebbe.
Tuttavia, il contesto non è sufficiente per spiegare l’attitudine globale di Prisma. È doveroso interrogarsi anche sul testo e chiedersi cosa renda Prisma una serie così internazionale. Le ragioni sono tante: sicuramente i temi d’inclusione di cui si è accennato sopra, che negli ultimi anni, soprattutto grazie alla produzione delle piattaforme, raccolgono l’interesse di un pubblico diversificato; ma sicuramente anche l’insolita ambientazione di Latina è un fattore determinante. Rispetto alle notissime Roma o Napoli, Latina è una città meno connotata di elementi locali per il pubblico internazionale e la storia di questi protagonisti diventa quindi non una serie italiana, ma una serie globale.
Ma l’elemento principale di questa dimensione internazionale ha a che vedere con il modo in cui la serie soddisfa gli stilemi della televisione contemporanea. Prisma è una serie non perfetta, a volte fin troppo formulaica, ma indubbiamente capace di costruirsi secondo le regole della serialità internazionale, che a partire dagli Stati Uniti si sono affermate dappertutto; è chiaro che si tratta di una pratica relazionale, basata sulle aspettative di un’audience globale ormai abituata alle caratteristiche della serialità statunitense. Bessegato e il suo team hanno appreso le regole di questo tipo di serialità e le hanno tradotte in un’opera che posiziona le proprie peculiarità italiane in un orizzonte produttivo globale. Ancora una volta tutto si riduce ai personaggi, costruiti con un approccio che predilige la complessità e l’approfondimento: si pensi ancora una volta al personaggio di Daniele e alla sua evoluzione in queste prime due stagioni, al modo in cui le situazioni che vive lo mettono in crisi e come, così come gli altri personaggi, sia impossibile da classificare secondo criteri tradizionali. I personaggi di Prisma rifuggono lo stereotipo e sono costruiti secondo una caratterizzazione stratificata che si rivela gradualmente con l’evolversi del racconto.
L’intreccio, inoltre, gioca costantemente con le aspettative, ribalta le attese e propone capovolgimenti e parallelismi che orientano la comprensione del pubblico: il continuo richiamare eventi del passato non serve semplicemente a motivare quello che vediamo nel presente, ma anche a suggerire un’ulteriore interpretazione degli eventi, come avviene negli ultimi minuti di questa seconda stagione. Anche questo giocare con la comprensione è una pratica comune nella serialità contemporanea, che stimola l’attenzione degli spettatori e il loro approccio investigativo per individuare i meccanismi nascosti dello storytelling.
Tra le serie italiane degli ultimi anni, quindi, Prisma è uno dei titoli più adatti per studiare l’adozione di modelli internazionali in un contesto locale; ma è anche un ottimo esempio di un’opera italiana che può avere grande successo anche nel resto del mondo, non solo nei contenuti ma anche nella forma, sempre più rilevante quando si tratta di affacciarsi su un mercato internazionale competitivo, complesso e imprevedibile come quello di oggi.
Riferimenti bibliografici
J. Mittell, Complex TV. The Poetics of Contemporary Television Storytelling, New York University Press, New York 2015.
M. Scaglioni, Made in Italy. La circolazione internazionale dell’audiovisivo e il ruolo dell’Italia fra cinema e “serialità premium”, in “Cinergie. Il cinema e le altre arti”, n. 18, 2020, pp. 17-24.