A Good Person: le gioie di un mondo piccolo

 
 

«Per gli appassionati di modellini di treni, esiste un mondo segreto di ordine e simmetria», afferma Daniel, ex poliziotto (nonché ex alcolista) interpretato dall'inesauribile Morgan Freeman in A Good Person di Zach Braff, citando un libro di tale Herman Williams sulle gioie di questo diffuso passatempo. Prosegue: «Immersi negli angoli delle nostre cantine e soffitte, dominiamo su un mondo dove l'hobbista interpreta il creatore onnipotente». E conclude che nella vita tali equilibri non sono presenti. A partire da queste parole, si intuisce che la chiave di tutto il film orbiterà intorno al tema della responsabilità individuale, come del resto accade in quasi tutto il cinema statunitense di ogni epoca. Protagonista della storia non è però l'anziano solamente, ma soprattutto la sua aspirante nuora Allison, portata sullo schermo da una sempre più convincente Florence Pugh.

Mentre viaggia in macchina con la quasi cognata e il di lei marito, la ragazza tiene un secondo di troppo gli occhi sul telefono e va a schiantarsi contro un cantiere regolarmente segnalato. Un anno dopo il matrimonio con l'affascinante Nathan è saltato e Allison abita in casa con l'alcolizzata madre, dipende dagli antidolorifici e risulta incapace di riprendere in mano la propria esistenza. Sarà proprio il fortuito incontro con Daniel ad una riunione degli Alcolisti Anonimi a farle riprendere fiducia in sé stessa, senza però saltare le consuete fondamentali tappe: l'aiuto rifiutato, le incomprensioni con la figlia adolescente delle vittime e una serie di vicissitudini che dovranno farla ricredere sull'eventualità di dare e darsi una seconda possibilità. Il film è nel suo insieme riuscito, quantomeno ritmato e sincero, finemente scritto, seppure estremente prevedibile.

Braff – 48enne del New Jersey noto ai più come protagonista della serie medical-comedy Scrubs (2001-2010) ma già autore di interessanti commedie agrodolci a partire dall'esordio con La mia vita a Garden State (2004) - impegna la passione e il mestiere del narratore indie per costruire intorno alle figure raccontate una credibile periferia cittadina dai colori molto tenui e il clima sempre tiepido. Inoltre, sceglie di concentrarsi sulla recitazione. Una regia invisibile quindi, del tutto al servizio degli attori, i quali evidentemente credono nello spessore psicologico dei loro personaggi. La 27enne Pugh, come si è accennato, in ogni sua nuova performance sembra sempre più brava; oltretutto britannica, qui non perde mai la misura e costruisce un accento americano solidissimo.

Al di là della qualità del film in sé, comunque sopra la media del suo genere, si coglie l'occasione per l'elogio di un'attrice giunta ormai ben oltre le promesse. Se Lady Macbeth (2016) e Midsommar (2019) ne avevano fotografato l'intensità emotiva, Piccole donne (2019) e Black Widow (2021, ma forse bisognerebbe ricordare più la sua apparizione nella serie Hawkeye nei medesimi panni) la malleabilità espressiva, e i più recenti Don't Worry Darling (2022) e Il prodigio (2022) il potenziale divistico, sarà forse l'imminente dittico formato da Oppenheimer di Christopher Nolan e Dune – Parte due di Denis Villeneuve a confermarcene lo straordinario valore. I differenti stadi di presenza sullo schermo e di approfondimento caratteriale dei ruoli, insomma, ci fanno ben sperare nella continuità qualitativa che la variegata carriera dell'interprete ha finora saputo regalare.

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