Full circle: ricreare equilibri affrontando i propri errori

 
 

Ci sono autori altamente produttivi e riconoscibili sia in ambito cinematografico che seriale. Uno di questi è Steven Soderbergh che dal 2013 ha creato per il piccolo schermo prodotti che sono cardini della storia della Tv contemporanea come Behind the Candelabra e The Knick. Lo scorso anno è tornato su Max (quello che era HBO Max) con una nuova serie stratificata e contorta, che mescola il crime al drama mettendo lo spettatore davanti a un vasto numero di strade perseguibili per arrivare a districare il bandolo della matassa: Full circle, da qualche tempo disponibile su TimVision.

Savitri Mahabir (CCH Pounder) porta avanti i traffici illegali del marito della famiglia d’origine a cui è molto legata: convinta che una maledizione aleggi su di essa e che debba, dunque, essere spezzata, organizza un rapimento che possa ristabilire l’equilibrio astrale andato perduto. Il fallimento dell’azione criminale apre nuovi scenari e interseca i destini di individui che apparentemente non hanno nulla in comune.

A dover essere rapito è Jared (Ethan Stoddard), nipote del celebre Chef Jeff (Dennis Quaid) che per riaverlo a casa dovrà pagare un cospicuo riscatto. Al posto di Jared è un ragazzo vestito esattamente come lui a venire prelevato in strada in piena notte, un ragazzo che del coetaneo non condivide solo l’abbigliamento, ma – si scoprirà in seguito – anche il DNA. È dagli errori, troppi e insospettabili, che vengono a galla segreti inconfessati e scelte discutibili che colpiscono inesorabilmente tutti i protagonisti dell’intricata vicenda: la famiglia di Jared, appartenente all’alta società newyorkese, in particolar modo i genitori di Derek (Timothy Olyphant e Claire Danes), che hanno nascosto per anni nell’armadio scheletri riguardanti loro azioni giovanili, la polizia che indaga sui fatti avvalendosi di agenti corrotti e altri, come Mel Harmony (Zazie Beetz), che credendo troppo nella giustizia commettono passi falsi. Anche la famiglia di Savitri, che dovrebbe ricomporsi e ritrovare la pace, viene scossa dall’arrivo di nuove pedine del gioco, giovani provenienti dalla Guyana, essenziali perché il rito funzioni. Se il lieto fine sembra essere dietro l’angolo, la questione facilmente risolvibile, gli errori iniziali trascurabili, a ogni inquadratura il terreno d’azione diventa più sdrucciolevole e ogni maschera di perbenismo, sorrisi rincuoranti e impressioni di successo si sgretolano sotto il peso dell’incertezza dell’avvenire, cangiante e beffardo. 

Soderbergh, da grande maestro qual è, gioca con i generi e i canoni mischiandoli e sovrapponendoli in modo tale che il crime sfoci nel dramma personale e in quello sociale, che l’elemento magico smuova la razionalità della concretezza. I personaggi di Full circle, tra primi piani, grandangoli e brevi piani sequenza, si muovono precariamente come eterni Sisifo, incapaci di riportare il proprio masso sulla sommità della collina: il peso delle colpe, delle imprudenze, dell’inesperienza giovanile, della sete di successo ricade addosso agli uomini e alle donne che popolano una New York che si trasforma in asettico microcosmo congeniale ai loro spostamenti. Non mancano le derive sociali, politiche e antropologiche che donano spessore  al ruolo che ogni personaggio interpreta nel gioco di ruolo della corsa alla sopravvivenza in cui si parano e schivano i colpi di un destino che reclama il suo giusto corso. Resa in piedi chi ha il coraggio di fare un passo indietro, di assumersi le proprie responsabilità, di dire addio a un sogno di gloria intrapreso percorrendo le strade sbagliate.

Su questo punto Soderbergh non transige, ad ognuno il suo: se il cerchio – quello evocato dalla magia e dalle leggende in cui crede Savitri – deve chiudersi, ci sono prezzi che è necessario pagare e non necessariamente con il sangue o la morte che preclude ogni reale sofferenza, ma con le conseguenze che la legge degli uomini, e non quella degli dèi, prevede.

Full circle si conferma, dunque, l’ennesima operazione riuscita per un autore che nell’arco della sua carriera ha sbagliato pochissime mosse: un prodotto avvincente e complicato, ideale per il binge watching, crudelmente e astutamente destinato a una messa in onda settimanale – negli USA – così da tenere alta l’attenzione del pubblico e fargli gustare il nostalgico sapore dell’attesa che apre alle ipotesi e alle “indagini personali”. Un lavoro di lima su significato e significante delle azioni umane e delle immagini che le rappresentano per alzare l’asticella e dare valore estetizzante e rigore formale ad ogni respiro e movimento di macchina.

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