Emily in Paris: la serie che tutti amano odiare arriva alla sua quarta stagione
La trasformazione della giovane protagonista di Chicago in 'vera francese' pronta a vivere nuove avventure all'insegna del mélo, è completata. Piena di sorprese, colpi di scena, intrighi, diventiamo tutti 'ringardes' (citazione per chi ha avuto il coraggio di seguire tutte le stagioni) nella nostra fantasia da turisti. Che Emily in Paris sia una serie controversa è oramai assodato, basti cercare su Youtube per vedere una serie di video-analisi dalla prospettiva dei diretti interessati: i francesi. 'Ignorance is not quirky' è solo uno dei titoli di questi video dove viene criticata la modalità limitante e stereotipata di descrivere un paese. Accusata di razzismo, di essere irrealistica, di essere cringe. Ed eccoci qui, nonostante possa condividere ciascuno di questi epiteti, a parlarne ancora perché vero e proprio fenomeno mediatico.
La terza stagione ci aveva lasciato sulle spine con una conclusione aperta a mille domande a cui troviamo le risposte nel nuovo capitolo che anch'esso si conclude in media res dell'eterno dramma sentimentale fra Emily e Gabriel. L'espediente vincente è il marketing di romanticizzazione grazie al quale Netflix ci frega ogni volta, regalandoci una Parigi da cartolina.
L'inguaribile ottimista e perbenista Emily entra nel clima romantico, caotico, sensuale e inconfutabilmente chic della città e nel giro di poche settimane si trasforma in un'eroina della Nouvelle Vague. Fra triangoli amorosi e crisi esistenziali (farsi la frangia o meno) viviamo il guilty pleasure delle fan dei teen movies e di chi sogna di farsi fare la foto davanti alla Tour Eiffel illuminata di notte. Fallimentare e visibile solo agli occhi dei più attenti osservatori il tentativo di rendere Emily 'relatable'. Cosa rende la nostra protagonista 'una di noi'? Le difficoltà di una 'workaholic' messa alla prova in un nuovo contesto di lavoro, circondata dai colleghi supponenti e sprezzanti o il suo amore impossibile, affascinante chef francese, casualmente suo vicino di casa?
Il segreto della serie è che piace proprio perché non è realistica, lascia spazio a una dimensione in cui non dobbiamo nemmeno fantasticare, abbiamo le nostre fantasie in bella mostra su uno schermo.
Gentrificazione? Il trend della serie.
Il prodotto gioca sul contrasto fra il modo di vivere americano e quello francese. Vediamo Parigi, ma solo uno sprazzo di realtà, parte dell'immaginario della narratrice della storia. Non parliamo della Parigi delle banlieue, della résistance, degli studenti rivoluzionari, delle proteste dei lavoratori: parliamo di haute couture, viaggi, ristoranti stellati, liaisons, vernissages e la osserviamo dal front row di una sfilata. Viene attuata quella che definirei quasi una gentrificazione del patrimonio culturale. Attraverso le lenti scintillanti di Emily possiamo vedere il meglio di Parigi, prendere un jet privato e finire a Roma, senza limiti di tempo e soldi. Per concludere, concordo con i più critici della serie, ammettendo che il risultato finale può far innervosire, ma risulta efficace nell'intento di mostrare la visione di una altrettanto stereotipata americana e, se guardata con amaro sarcasmo e il distacco necessario, può essere piacevole, attinente all'immagine popolare che ha voluto dare di sé.