Funny Woman: nascita di donne belle, divertenti e di rottura

 
 

Uno degli scrittori più saccheggiati dalla settima arte per trasposizioni cinematografiche e seriali è senza dubbio Nick Hornby, dallo humor intelligente e la critica affilata. British fino al midollo, eppure universale nell’analisi della crisi dell’individuo, ha garantito successi di pubblico, e in alcuni casi anche di critica. Nel 2014 usciva il romanzo Funny Girl, nove anni dopo è uscita la serie Tv, Funny Woman, un prodotto intelligente e divertente, che narrativamente osteggia il politicamente corretto senza alcun esibizionismo plateale.

Barbara Parker (Gemma Arterton) ha vinto Miss Blackpool 1964, ma fare la bella statuina e la reginetta di bellezza non fa per lei. Lascia padre, zia bigotta e fidanzato, per trasferirsi a Londra e realizzare il suo sogno: diventare un’attrice comica. Barbara, assunto il nome d’arte di Sophie Straw, diventa la rivelazione, la star di una nuova sit-com di successo: Jim & Barbara.

È un romanzo di formazione quello di Sophie Straw e delle sue tre identità, una trasformazione e una crescita che danno ragione e sostengono a quel suo inspiegabile spirito d’iniziativa, misto ad ambizione, che le ha fatto spiccare il volo. La giovane donna divertente, con un accento buffo del nord – che con il doppiaggio italiano si trasforma in una riduttiva erre moscia – impara a spese sue e delle sue amiche quanto sia difficile essere considerata in un mondo, televisivo e produttivo, misogino e classista. Eppure Sophie, imprigionata tra due Barbara – quella di Blackpool e quella che interpreta nella sit-com – non si lascia abbattere dal pensiero maschile, dai tradimenti del compagno di scena che diventa presto fidanzato, e neppure si nasconde dietro le sue curve e il suo viso angelico, segue il suo faro, Lucille Ball, e scala la piramide sociale  degli studi televisivi fino al confronto finale con il direttore dell’emittente.

Funny Woman tratta tematiche di genere a tutto tondo, razzismo, libertà sessuale, veicolate dalla sit-com, vista come una valvola di sfogo creativo per autori omosessuali e  bisessuali che vogliono fare un passo in avanti, quasi a voler precedere quel ’68 che è alle porte, quel femminismo ancora embrionale e clandestino che la protagonista incrocia grazie alla frequentazione della sua coinquilina. Una narrazione apparentemente classica che si lancia in parentesi jazzate che creano parallelismi e danno sfogo ai vari punti di vista, come formalmente viene fatto con i numerosi split screen che puntualmente aprono lo sguardo su prospettive antitetiche.

Per tornare a Hornby, siamo dalle parti di An Education, con giovani donne che si addentrano in mondi estranei e frequentano uomini ipocriti e spregevoli, mentre altre, sullo sfondo, come massa informe di una normalità ingiusta ed esibita, si atteggiano a ochette starnazzanti e accondiscendenti. Il mondo delle emittenti televisive, nonostante l’evidente salto temporale, è un degno antecedente di quello messo in scena in The Morning Show, nonostante non sia tempo per denunciare gli scandali sessuali, con cautela si denunciano gli abusi di potere e le fintamente inclusive dinamiche produttive. A salvarsi, per etica e professionalità, sono i “tre moschettieri” ideatori della sit-com, soli a remare contro corrente  e chiedere, insistentemente  e con dinamiche ingegnose, al mondo degli telespettatori di aprire gli occhi su ciò che deve cambiare. Si tratta, dunque, di una nuova forma di educazione che, come Sophie dimostra in seguito alla registrazione dell’ultimo episodio, passa attraverso la risata.

Leggera ma éngagé, britannica ma universale, storicamente connotata ma attuale, Funny Woman, diretta da Oliver Parker, va oltre le apparenze di romantico entertainment pur non aspirando al clamore e agli elogi sperticati, resta fedele alla riservata e pacata intelligenza del suo primissimo creatore.

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