Heartstopper: “just queer people being”
Definito “TV’s biggest LGBTQ+ show” da The Attitude, che ha dedicato ben cinque copertine alla sola seconda stagione, Heartstopper inserisce la storia d’amore tra Charlie Spring, adolescente gay con un passato di vittima dei bulli della Truham Grammar School, e Nick Nelson, popolarissimo giocatore della squadra di rugby della scuola, all’interno di una crescente rete di relazioni di supporto. Questo permette una visione affermativa delle diverse sessualità rappresentate dal gruppo di amici di Charlie e Nick. Heartstopper non nasconde i problemi legati all’omobitransfobia ma non permette che questi diventino drammi, sottolineando, invece, la positività di poter vivere ed esplorare la propria sessualità, sottraendosi all’eteronormatività e alle aspettative sociali. “Just queer people being”, come ha commentato Kit Connor, l’attore che interpreta Nick.
L’importanza del mutuo sostegno e amicizia tra soggetti queer viene enfatizzata nella seconda stagione, ancor più che nella prima. Le linee narrative che riguardano la coppia lesbica formata da Tara e Darcy e il rapporto tra Tao e la ragazza trans Elle erano già presenti fin dall’inizio della serie ma acquistano importanza e maggior compimento nella seconda stagione. Significativamente, i materiali pubblicitari della prima stagione, ad iniziare dal manifesto principale e dallo slogan “Boy meets boy”, si concentravano su Charlie e Nick. Al contrario, quelli della seconda stagione, dall’immagine di Charlie e Nick che camminano mano nella mano davanti al resto del cast con lo sfondo della Tour Eiffel allo slogan “show the world what love is made of”, suggeriscono l’importanza fondamentale di una comunità per dare nutrimento ad una relazione sentimentale e renderla visibile al mondo intero. La seconda serie è, infatti, incentrata sui timori di Nick per il suo coming out come bisessuale. Non a caso, il produttore Netflix ha dedicato il sito heartstopperlove.com ai messaggi che i fan vogliono lasciare alle persone che hanno dimostrato loro amore nel corso della vita.
Tratte dalle graphic novels di Alice Oseman, autrice anche della sceneggiatura, ognuna delle due stagioni di Heartstopper è composta da 8 episodi della durata di circa 30 minuti con il titolo corrispondente (nell’originale inglese) ad una sola parola chiave che ne identifica chiaramente il tema o il personaggio centrale. Una strategia narrativa che, unita alla mancanza di volgarità nei dialoghi, ormai ampiamente sdoganate nel linguaggio comune, o di riferimenti espliciti a sesso e dipendenze, potrebbe far apparire la serie come troppo scopertamente “didattica” e artificiale. Eppure, fin dalla prima stagione, Heartstopper è riuscito a intessere un universo ricco di tematiche e personaggi in grado di appassionare non solo il pubblico pre-adolescente di riferimento, ma anche fasce di spettatori più maturi, entrando nella classifica delle 10 produzioni Netflix più viste in ben 54 nazioni.
Il successo ha portato anche ad una ridefinizione dei personaggi e del rapporto con l’attore/attrice: dalla definizione auto-ironica di Tao nella prima stagione come “sfigati ed emarginati” ad icone di stile su The Attitude, il brand mediatico LGBTQ+ più conosciuto a livello globale. Le cinque copertine di cui abbiamo parlato in apertura, infatti, uniscono un’agenda politica sull’affermazione di una sessualità fluida e queer con la presentazione del cast quasi in stile sfilata di moda che ne aumenta la desiderabilità, anche oltre la comunità LGBTQ+. Tuttavia, il bilancio di questa ridefinizione non è sempre positivo. In un curioso rovesciamento di ruoli tra finzione e vita, l’attore Kit Connor è stato costretto al coming out come bisessuale proprio per l’insistente accusa di fingersi queer (queerbating) per favorire la sua carriera. Questo contrasta palesemente con il messaggio centrale di Heartstopper secondo cui il coming out non va subito ma scelto.