Le Streghe D’Oriente - Le ragazze d’oro del 1964

 

Per il 1964 i giochi olimpici devono svolgersi finalmente a Tokyo a 24 anni dall'edizione del 1940, saltata per colpa della Seconda Guerra Mondiale. Per il Giappone è la fine della parentesi bellica, il tentativo di risvegliarsi dalla tragedia di Hiroshima e Nagasaki e dallo shock culturale che la fine del secondo conflitto mondiale aveva causato. L’evento diventa per i giapponesi un modo per mostrare al mondo la propria rinascita e l’entusiasmo per l’attesa è veramente alto. A creare ulteriore aspettativa, vengono introdotte tra le discipline Olimpiche il judo e la pallavolo, che danno al paese speranze per una medaglia d’oro. Se per il Judo la motivazione può apparire scontata, nel volley, da qualche anno, c’è un gruppo di lavoratrici tessili che è diventata la spina dorsale di una nazionale fresca vincitrice del mondiale. Con turni massacranti di lavoro e allenamento, come un uragano, le giovani giapponesi hanno distrutto le avversarie una dopo l'altra, comprese le temibili campionesse degli URSS, e vengono soprannominate le "streghe d'oriente" (in giapponese Toyo no Majo). Se nel judo, a sorpresa, Akio Kaminaga viene battuto dall’olandese Anton Geesink, saranno proprio le streghe d’oriente a risollevare il morale di un popolo vincendo la prima storica medaglia d’oro olimpica della pallavolo.

Julien Faraut decide di raccontarci la storia delle ragazze che fecero questa straordinaria impresa in maniera non convenzionale, con un ritmo estremamente cadenzato, lasciando quasi lo spettatore disorientato davanti alle immagini. Il film si focalizza su due eventi: la vittoria del campionato mondiale del 1962 e quella delle Olimpiadi del 1964 seguendo una costruzione molto simile. Prima seguiamo le giocatrici, ormai invecchiate, raccontare le loro emozioni e ricordi. La macchina da presa non si sofferma però sulle protagoniste mentre parlano, come da prassi in tanti documentari, ma le loro parole sono messe di sottofondo a scene della loro attuale quotidianità. Finita questa prima parte l’attenzione passa alla massacrante preparazione in vista delle competizioni, con filmati d’epoca colorizzati, che mostrano gli enormi sacrifici che le giovani dovevano compiere giorno dopo giorno tra il lavoro e l’allenamento (51 settimane l'anno, dalle 16 a mezzanotte e oltre).

Fautore di questa diavoleria era l’allenatore Hirofumi Daimatsu un tipo severo ed estremamente esigente, uno che si raccontava che in guerra fosse sopravvissuto per mesi in una giungla in Birmania senza viveri portando però poi in salvo sé stesso e tutti i suoi uomini. Non è un caso che dalle vicende di questa nazionale siano nati tantissimi manga e anime sportivi, il più celebre fra tutti è sicuramente Mimì e le ragazze della pallavolo (あしたへアタック! - Ashita e atakku) del 1968 ma si possono citare anche Arrivano i Superboys per il calcio (1970), Tommy la stella dei Gaints (1966) per il baseball e tanti altri. Tutti questi prodotti erano caratterizzati da allenamenti massacranti, imprese che superano i limiti fisici e magari anche dalla ricerca di mirabolanti mosse speciali. Anche le “streghe” ne avevano una: la ricezione in rotolamento senza mai cadere a terra ispirata dalle Daruma Dolls. Terminata l’analisi degli allenamenti ecco finalmente il momento in cui le immagini vanno alla competizione vera e propria, nello specifico le due finali con gli URSS. Le partite sono mostrate attraverso alcuni momenti chiave e lasciando che le immagini della gara reale si frappongano a quelle dell’analoga sfida raccontata nell’anime di Mimì e le ragazze della pallavolo.

Le streghe d'Oriente è da poco sbarcato su Now Tv a distanza di due anni dalla sua uscita. Non si tratta di un documentario di facile visione perché l’impresa viene raccontata in maniera rallentata, diluita. Pare quasi che il regista stia cercando di destabilizzare lo spettatore con immagini e contenuti che questi non si aspetta, forse anche per dare l’idea di quanto distanti erano queste ragazze, sia nel gioco che culturalmente, rispetto a quanto si era abituati normalmente. Quello che emerge chiaramente è però l’amicizia che ancora unisce le pallavoliste, come soldati al fronte, e la loro normalità nella quotidianità a fronte dell’incredibile impresa compiuta. 

Inserire questo documentario in una casella ben definita è veramente difficile: abbiamo elementi di un documentario osservativo, poetico, espositivo ma a tratti quasi partecipativo. Quel che appare certo è che il regista cerca il più possibile di essere invisibile, di raccontare quello che è accaduto attraverso immagini, quasi volesse ricercare un’oggettività assoluta. Questa oggettività è però rotta dalle testimonianze dirette delle protagoniste, dall’inevitabile coinvolgimento dei telecronisti e cronisti che prendono voce dalle immagini di repertorio. Persino l’invisibilità del narratore viene talvolta interrotta anche se con l’espediente di brevi didascalie esplicative. 

Di fronte a tanta confusione fruitiva, terminata la visione di Le streghe d'Oriente, allo spettatore resta la sensazione di aver vissuto un’impresa. Dolorosa e sofferta, ma pur sempre un’impresa.

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