BEEF - Lo scontro: surreale follia quotidiana
La vendetta è un piatto che va servito freddo. Ma nel caso di BEEF la portata è ancora bollente quando la faida tra i due protagonisti prende vita, e la temperatura si alza implacabilmente dal primo all’ultimo episodio, alimentando la scintilla iniziale di insofferenza fino a trasformarla in un indomabile incendio.
La nuova serie Netflix ideata da Lee Sung Jin arricchisce il catalogo della piattaforma con una commedia nera inedita, spettacolare e ipnotica in cui il rischio di binge watching è quasi inevitabile. Come per le migliori storie, la premessa è tanto semplice, quanto efficace: lo squattrinato muratore Danny (Steven Yeun) e la frustrata imprenditrice Amy (Ali Wong) rimangono quasi coinvolti in un incidente nel parcheggio di un super store. Ma quello che chiunque liquiderebbe come un mancato pericolo o una piccola seccatura, rappresenta per entrambi l’ennesima goccia in due vasi già straripanti. È così che, dopo un folle inseguimento tra i quartieri più ricchi di L.A., inizia una reciproca vendetta personale.
Le ragioni del loro risentimento apparentemente smisurato sono presto chiarite: le vite personali di entrambi, seppur drasticamente diverse, sono egualmente disastrose. Dopo il fallimento del motel dei genitori e il loro ritorno in Corea, Danny è più lontano che mai dal realizzare il suo sogno di avviare un’attività di successo ed accogliere nuovamente la madre e il padre negli States. Totalmente soggiogato dal mancato sogno americano dei genitori e dal peso delle loro aspettative, fatica a interagire col fratello minore Paul, che al contrario sembra volersi allontanare il più possibile dalle sue responsabilità rincorrendo criptovalute e uno stile di vita che può solo permettersi di sognare.
Chi invece è apparentemente riuscita ad avere successo in ogni ambito della vita è Amy: imprenditrice self made sul punto di vendere il suo marchio, sposata con l’amorevole e benestante artista George e madre di June, una bambina tanto difficile quanto amata. Ma sotto questa patina splendente, si cela una realtà ben più complessa: l’acquisizione di Koyo Haus da parte dell’eccentrica Jordan è una fonte di grande stress per Amy, ma l’iper-positività del marito le impedisce di poter esprimere le sue preoccupazioni, spingendola ad interpretare un ruolo non suo sia fuori, che dentro casa: quello di una donna impeccabile, realizzata e zen.
Danny ed Amy sono due facce della stessa medaglia. Entrambi asioamericani di seconda generazione, si ritrovano soffocati dalle aspettative della generazione che li ha preceduti ed incastrati in ruoli che non gli appartengono veramente. È forse proprio per una sorta di inconscio riconoscimento reciproco che identificano nell’altro la valvola di sfogo perfetta per le loro insoddisfazioni. E se nei primi episodi la loro vendetta sembra esaurirsi in torti talmente assurdi da apparire infantili, presto la posta in gioco si fa molto più alta, mettendo a rischio le loro vite e quelle delle persone che li circondano. Questa discesa folle verso una risoluzione sempre più surreale rivela però anche il lato più umano e vero di entrambi. Le ferite di un passato più o meno recente si riverberano ancora nelle loro vite, e per quanto tentino di fuggire da esse i ricordi bussano sempre alla porta e pretendono di essere affrontati. Ma non appena ci avviciniamo troppo ad Amy e Danny e iniziamo a condividerne il dolore, ecco che ci mostrano nuovamente la parte peggiore di loro, allontanandoci bruscamente e tenendoci sospesi in una dimensione che oscilla tra empatia e antipatia.
Non sono da meno gli altri personaggi che popolano gli episodi, ognuno espressione dei tanti disagi odierni in cui ognuno di noi si può – anche solo parzialmente – riconoscere. Non c’è spazio per la redenzione in questa fitta rete di relazioni, tradimenti e individualismo dove tutto e tutti sembrano essere profondamente corrotti ma superficialmente brillanti. Ed è proprio questo a rendere BEEF una storia profondamente umana, attuale ed imperdibile.