Luci e ombre di Lotta Continua

 

Il 1968 e le rivoluzioni studentesche sono il via per la nascita di Lotta Continua, un’organizzazione che ha fortemente influenzato l’Italia con un modello aggregativo e solidale ma anche capace di essere aggressivo e distruttivo. Tony Saccucci presenta Lotta Continua, documentario sbarcato su Rai Play, in cui cerca di ripercorrere le origini del movimento e analizzare le sue luci e ombre

Tutto parte nel 1969 da Torino, dove nelle fabbriche FIAT studenti e operai vessati, principalmente del sud d’Italia, si uniscono agli studenti per dare vita ad un’operazione di sabotaggio e di occupazione delle officine che paralizzano la produzione. Gianni Agnelli, dopo una prima linea dura, è costretto a capitolare e riconoscere maggiori diritti agli operai. Ma è proprio in questo frangente che avvengono i primi scontri con le forze dell’ordine e l’idea che la violenza subita vada restituita. Il gruppo cresce e si raccoglie attorno al giornale Lotta Continua, che nel novembre del 1969 sancisce l’inizio vero e proprio dell’organizzazione omonima.

A far rivivere i fermenti di quel primo periodo e poi il resto delle vicende di Lotta Continua sono uomini e donne che hanno fatto parte del movimento attivamente. Tra questi Erri De Luca, Marco Boato, Gad Lerner, Paolo Liguori, Vicky Franzinetti, Donatella Barazzetti e Giampiero Mughini, che di Lotta Continua è stato per un periodo direttore prendendosi per questo numerose denunce. Proprio Mughini ha una funzione essenziale all’interno del documentario perché, in opposizione all’entusiasmo sconfinato che emerge dai racconti dei testimoni, egli si rivela invece un grande critico delle scelte del movimento. Col passare dei minuti si alternano sullo schermo le interviste ai vari protagonisti frammiste alle immagini di repertorio che servono a calare lo spettatore in un clima molto diverso da quello attuale. Gran parte del materiale è tratto dall'archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico ma anche dalle Teche Rai, Archivi Luce e del CSC. Non ci sono ridondanze informative ma le testimonianze costruiscono effettivamente la narrazione senza inutili ripetizioni. Erano gli anni delle manifestazioni, erano gli anni dei cortei sconfinati ma anche degli scontri, sia con la polizia che con i fascisti. Era gli anni di piombo o gli anni di rame, come li definisce Erri De Luca, perché c'era una circolazione elettrica nell’aria e nascevano lotte e consapevolezza di poter ottenere qualcosa. E questa forza elettrica, sottolineata di continuo con la scelta di far sentire spesso e in maniera ripetuta il boato della piazza e farne vedere gli interminabili cortei che colpiscono e lasciano immaginare solo in parte quanto il movimento sia stato forte e prorompente.

Curiosamente tra tutti i temi affrontati uno sembra essere più pressante e ricorrente. I membri di Lotta Continua paiono infatti doversi continuamente discolpare dall’accusa di essere stata sostanzialmente una lobby di arrampicatori sociali, una setta o chissà che altro. Tanti membri dell’organizzazione sono infatti poi diventati politici, giornalisti o artisti celebri e i contatti tra loro sono sempre rimasti molto stretti e continui tanto da alimentare voci incontrollate che i protagonisti allontanano con vigore. Oltre a questo ci si interroga continuamente sulla liceità o meno nell’uso della violenza, sia come forma di difesa che come forma di attacco. Non bisogna infatti dimenticare, e questo viene accennato, come sia proprio da una costola del movimento che nacque Prima Linea con tutto quello che ha comportato.

Al termine della visione, nonostante la già citata costruzione informativa priva di inutili ridondanze, che ormai caratterizzano le produzioni documentarie di questo tipo, la sensazione è che tante informazioni siano date per scontate in particolare quando si cerca di ricostruire la natura del movimento nella parte centrale e finale della sua vita. Proprio l’epilogo è quello che più di tutti assume contorni fumosi forse anche a causa della durata ridotta degli episodi. Lotta Continua poteva benissimo essere un documentario unico di due ore piuttosto che essere smembrato o, quantomeno, potevano sfruttare questa scelta per andare oltre i trenta minuti ad episodio. Evidentemente si è scelto di seguire la moda delle docu-serie per via della loro fruibilità. Visti i tanti sottintesi e le informazioni date per scontate il target di riferimento del prodotto parrebbe quello di un pubblico che ha vissuto quel periodo o che già conosce le vicende legate a Lotta Continua e dei suoi strascichi. Mai, infatti, è data una spiegazione su chi siano i personaggi e i protagonisti, perché queste informazioni sono sostanzialmente date per note agli spettatori.

Fatta questa premessa, bisogna dire che, nel corso dei quattro episodi, è impossibile non farsi prendere da un grande entusiasmo nel rivedere e ripercorrere i momenti che hanno portato Lotta Continua a diventare un’organizzazione capace di avere una rete in tutto il territorio nazionale. Ci ritroviamo quindi a metà tra un documentario partecipativo e uno performativo, dove le interviste e le immagini d’archivio lasciano spazio però a un forte coinvolgimento emotivo delle parti. La voce dei protagonisti lascia trasparire ancora oggi, nonostante le divergenze di opinioni presenti e passate, la sensazione che sia stato costruito qualcosa di grande, che realmente si sia riusciti a cambiare le cose attraverso la lotta e la militanza. Questo misto di nostalgia e celebrazione sembra collegare questo documentario, più che a una storia politica, ad una storia sportiva legata a una grande impresa. Non mancano però i rimpianti perché la fine di Lotta Continua ha costituito un fallimento che è stato rafforzato dalla grande sofferenza e senso di ingiustizia per la condanna di Adriano Sofri. La rivoluzione non è stata portata a termine ma resta quanto fatto come guida per le generazioni successive.

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