Secret Invasion: il declino dell’MCU

 
 

La prima serie Marvel della cosiddetta fase cinque, Secret Invasion, è un grosso inciampo per più motivi, gran parte dei quali imputabili ad un’estrema sciatteria produttiva. In sei puntate, tutte dirette da Ali Selim, viene raccontato il tentativo di invasione della Terra da parte di alieni mutaforma detti skrull, in incognito sul pianeta da decenni. A ostacolarli c’è un Nick Fury stanco e avvilito, la cui storia personale si intreccia con quella di questo popolo. Le idee potenzialmente vincenti non mancano e pure diverse opportunità vengono saggiamente colte.

Tanto l’estetica fotografica, monotona ma adatta ad una spy story, quanto una semplice e buona regia conferiscono a Secret Invasion una serietà e un’eleganza maggiore rispetto a molti film dello studio. In compenso la scrittura è meno che dozzinale, frettolosa tanto nel complesso quanto al livello dei singoli episodi. Ne consegue un racconto per nulla avvincente e un’insufficiente caratterizzazione dei personaggi e del mondo diegetico. I primi due episodi sono prevalentemente introduttivi, riassumono efficacemente le informazioni necessarie dei precedenti film e presentano tutti i personaggi principali. Il terzo e il quarto sono i migliori, sia per situazioni proposte che per sviluppo, mentre i finali sbrogliano la matassa, senza infamia e senza lode, preparando il campo per nuovi prodotti Marvel.

Il piano degli skrull malvagi, motore della trama principale, si fonda su una macchinazione volta a sconvolgere gli equilibri geopolitici mondiali. Peccato che gli autori della serie propongano uno scacchiere internazionale che sarebbe risultato fallace e poco credibile perfino in piena guerra fredda. Un altro pesantissimo elemento di scrittura negativo è il protagonista stesso, Nick Fury. Inizialmente viene presentato come un personaggio fallibile, scalfito dall’età e dall’inattività, che deve ritrovare il vigore perduto per salvare il mondo e rimediare ai propri stessi errori anche per risollevare la sua vita privata. In soli sei episodi gli autori riescono a massacrare un personaggio tra i più longevi e riconoscibili del MCU, donandogli la totale incapacità di imparare dai propri errori e la boria egomaniaca di chi riconduce il possibile scoppio della terza guerra mondiale a una sua questione privata.

Il tentativo poi di usare la storia del popolo esule skrull per imbastire un sottotesto sui temi dell’immigrazione e dell’integrazione è lodevole, sebbene sviluppato superficialmente. Risulta però ridicolo se l’eroe della situazione non fa altro che sfruttarli per fare carriera, trattarli come se le loro vite fossero una sua proprietà, non pentirsi di niente – il rapporto con la moglie è al limite della relazione tossica – e pretendere pure che lo ringrazino. Lo skrull chiamato Talos, principale alleato di Fury e ottimamente interpretato da Ben Mendelsohn, risulta al contrario un personaggio estremamente interessante e ricco di ottimi spunti, benchè sviluppati frettolosamente e con superficialità. I rapporti contrastanti con Fury e con la figlia ribelle, la parziale coincidenza di intenti con l’antagonista, un forte senso etico e pragmatico, una sensibilità da leader e una vena malinconica lo rendono il miglior personaggio della serie. Su nessun altro vale la pena dire altro, né in positivo né in negativo.

A Secret Invasion avrebbero giovato un maggior numero di episodi e una vicenda più ridotta, magari relegata a una semplice questione privata fra Fury e il capo degli skrull cattivi senza tirare in ballo guerre mondiali e complotti poco credibili. Evidentemente alla dirigenza Marvel poco importa valorizzare la qualità del singolo prodotto – la CGI, ad esempio, è qui abbastanza scadente – quanto sfornare incontinentemente prodotti usa e getta, utili solo a trascinare stancamente un universo narrativo sciapo. Vedremo come gestiranno la cosiddetta fase cinque anche se, già dal nome, più che un piano di produzione ricorda il decorso di una malattia.

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