The Forgiven: insofferenza borghese e impunità di diritto

 
 

Due coniugi inglesi (Ralph Fiennes e Jessica Chastain) sono in viaggio verso Tangeri, diretti ad una festa lussuosa. Lei è una scrittrice di libri che non trova più ispirazione, lui, invece, è un medico che - forse - l’ispirazione non l’ha mai avuta. Mentre attraversano il deserto a tutta velocità (incuranti dello stato di alterazione alcolica) investono un ragazzo marocchino che muore sul colpo. I due non si preoccupano, adagiandosi sull’idea di essere - grazie alla loro condizione sociale - legittimati a godere (a vita) di un’impunità di diritto. Vanno alla festa, annoiati al pensiero di dover “sbrigare la faccenda” e intenti a distrarsi. Raccontano l’accaduto, mostrando - a testa alta - come il loro status li elevi ad una posizione di privilegio. “Quel ragazzo era uno qualunque, veniva da un villaggio sperduto”, dice il marito alla moglie, insinuando come nessuno potrà mai reclamarlo proprio per il suo essere “uno qualunque”, che nella folla si disperderebbe. Non ci sono testimoni o documenti, né preoccupazioni per la polizia, che perderebbe solo tempo a “sistemare scartoffie”. Il padre del ragazzo, però, non la pensa allo stesso modo e pretende che il colpevole dell’incidente lo accompagni a seppellire il figlio. Inizialmente i due coniugi, come d’abitudine, ipotizzano che voglia una somma di denaro come “risarcimento” del danno, ma l’uomo esige qualcos’altro che - sfortunatamente per loro - non si può comprare.

The Forgiven, basato sull’omonimo romanzo di Lawrence Osborne, edito in Italia da Adelphi con titolo Nella polvere, è il racconto di una conversione inizialmente forzata e poi spontanea. La pellicola - disponibile su Sky e Now Tv - analizza il confronto tra due diverse condotte. Confronto, però, sin dal principio impari, perché si tratta di una moralità che si scontra con un’amoralità. Il padre del ragazzo vuole che l’uomo si redima, più per se stesso che per restituirgli qualcosa che - naturalmente - non potrebbe mai essergli dato indietro. L’uomo, dal canto suo, accetta le condizioni del genitore senza opporsi, iniziando - man mano - a modificare l’atteggiamento e il linguaggio. Quelle che prima erano “persone diverse, che provano cose diverse”, diventano soggetti a cui chiedere - e sperare di ottenere - perdono. Le persone non svaniscono nel nulla, e non ci si può prendere gioco del mondo in eterno, pensando di sottrarsi - sotterrandosi? - solo perché si è sempre riusciti a rivalersi sugli altri rimarcando la propria posizione sociale. Se, però, da un lato la regia di John Michael McDonagh (fratello di Martin McDonagh) si focalizza sull’approfondimento psicologico dei personaggi, dall’altro la componente thriller ne risente, rallentandosi.

La forza di The Forgiven sta nelle riflessioni (suggerite e mai imposte) sulla crudeltà del mondo e sulla possibilità di una redenzione impossibile, ma sperata. La pellicola - inevitabilmente - rimanda, poi, a Il té nel deserto di Bernardo Bertolucci: ci sono due coniugi protagonisti (anche in questo caso lei è scrittrice), che approdano a Tangeri e c’è un uomo che sembra conoscere la loro sorte, il Narratore. Spazio, azione (che diventa confusione), tempo: in entrambe le opere ci si sofferma sull’idea di perdizione - e smarrimento - e su quello da cui non si può fuggire. Il mondo può essere crudele per tutti, anche per chi crede di governarlo.

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