The Union: eroi di strada e spie segrete
Inizia a Trieste, con una missione fallita e un furgoncino della fittizia Trieste Servizi e Utilities che salta in aria, questo The Union, diretto dall’esperto quanto anonimo regista televisivo (come si sarebbe detto una volta) britannico Julian Farino, lasciandoci alla fine l’atroce dubbio che, quello che in origine si doveva chiamare Our Man from Jersey, potrebbe trasformarsi in una saga potenzialmente infinita.
Ma cos’è la Union? Una cosa tipo FBI che però fa tutto il lavoro, come spiega una Halle Berry in formissima che mena come un fabbro, un’organizzazione di cui metà dei servizi segreti ignora l’esistenza mentre ‘l’altra metà si pente di saperlo’ e che a differenza dei federali non si stampa dietro il nome a caratteri cubitali.
La missione in Italia, quella fallita a Trieste, era per beccare un traditore della CIA e cosa fare allora, per rimediare, se non ingaggiare un modesto muratore edile (ma vecchissima fiamma del personaggio della Berry, di cui lui è ancora innamorato cotto) per metterlo in mezzo in una missione pericolosissima che dal Jersey lo fa finire in mezzo ai proiettili a Londra? Roba da matti, se non fosse che la filosofia, vagamente populista, della Union non è quella di reclutare a Princeton o Harvard, tra gli scout di Yale o della squadra di tennis di Oxford ma tra gente che ‘vola sotto i radar, un esercito invisibile che fa girare il mondo, gente che fa il lavoro vero, che ha imparato dalla strada e non dai libri, colletti blu non sangue blu, gente che costruisce città, gente che tiene calde le linee di produzione’.
Per aiutare l’eroe per caso, interpretato da Mark Wahlberg, ad ambientarsi nell’inaspettato ruolo di un Bond di provincia, poi, l’idea è quella di sottoporlo a un programma che lo trasformi in un vero e proprio agente segreto. Il tempo però è quello che è e allora perché non sintetizzare una preparazione di sei mesi ad appena due settimane?
Insomma, se da una parte tutto gira complessivamente bene, sia da un punto di vista tecnico che attoriale (la Berry, Wahlberg e il sempre ottimo J.K. Simmons sono persone del mestiere), bisogna avere una grande pazienza a sopportare la scrittura di tali Joe Barton e David Guggenheim, piena di spunti improbabili, a partire da quello principale legato alla figura del protagonista, e di insopportabili spiegoni per tenere in piedi il fragile castello narrativo.
Sicuramente piacerà e sarà piaciuto a molti, perché in fondo anche lo spettatore più snob ha bisogno di film che gli consentano di staccare il cervello da sofisticate elucubrazioni, ma qua dal punto di vista della scrittura siamo proprio a livelli da scuola elementare.
Volendo invece forzare una lettura che vada un po’ oltre il visibile si può vedere una narrazione di un mondo che strizza l’occhio all’americano profondamente legato al proprio piccolo mondo, Our Man from Jersey che, finita la missione si intende, come canta Springsteen, stasera farà quel giro dall’altra parte del fiume, sul lato del Jersey, portando la sua “bambina” al luna park per fare un giro su tutte le giostre, perché lungo la riva va tutto bene. Ma forse ci sto vedendo più lungo del voluto.