Unicorn Wars: orrori e massacri in tinte pastello

 
 

Disponibile dal 2 maggio su IWonderfull, Alberto Vázquez torna con un secondo lungometraggio dopo Psiconáutas, los niños olvidados (2015). Vázquez, nuovo maestro dell’animazione spagnola, si conferma come autore di un cinema che indaga gli aspetti più raccapriccianti e oscuri dell’interiorità dell’essere umano che, in entrambi i film, viene rappresentato sotto forma di animali all’apparenza innocenti e puri (uccelli, topolini o orsacchiotti). Non bisogna quindi lasciarsi ingannare dall’aspetto docile e rassicurante dei protagonisti delle sue opere: un piccolo uccellino dalla testa bianca e tonda per Psiconáutas e un gruppo di orsetti colorati per Unicorn Wars.

Partendo dal fatto che Vázquez ha lavorato come illustratore delle opere di Edgar Allan Poe e di H. P. Lovecraft e ci ha abituati benissimo fin da subito alle atmosfere inquietanti virate al rosso e al nero, nonché al lavoro certosino di animazione 2D di Psiconáutas, con Unicorn Wars non si smentisce di certo. Se Psiconautas è ambientato in un futuro distopico e tratta di una lunga epopea di traumi psicologici di una generazione di “bambini dimenticati”, Unicorn Wars si sviluppa in una remota alba dei tempi in cui una leggendaria e sanguinosa guerra tra orsetti e unicorni è destinata a ripetersi ciclicamente. Tra le due fazioni ci sono sempre stati vincitori e vinti, ma mai un “ultimo sopravvissuto” che decreti la fine di una delle due specie e l’inizio di qualcosa di nuovo.

Già dall’incipit, in cui l’unicorno María (nome simbolico e religioso) cerca la sua mamma nella foresta, comprendiamo subito come Unicorn Wars non sia una fiaba destinata a svolgersi come ci si aspetta. Vázquez inserisce una citazione che balza subito alla mente e che rimanda proprio a quella scena di Bambi (1942) che probabilmente ancora traumatizza Quentin Tarantino. Dopodiché non mancano i riferimenti ad Apocalypse Now, Full Metal Jacket e alla Bibbia, conditi da molteplici episodi di bullismo, consumo e abuso di droghe, violenza fisica e psicologica e linguaggio senza filtri. Non di meno, la presenza di cadaveri, budella e arti mozzati rendono Unicorn Wars perfettamente inscrivibile nel genere horror-splatter.

Come per Psiconautás, anche in Unicorn Wars c’è un minuzioso studio del colore e delle forme: è interessante notare come gli unicorni vengano sempre raffigurati in silhouette e con gli occhi bianchi come unico punto di luce, dotati per natura di una forma longilinea, elegante e sensuale. Al contrario, il popolo degli orsetti, riuscitissima versione perversa dei Coccolotti e degli Orsetti del Cuore, incanterebbero chiunque con i loro colori pastello, le forme morbide e gli occhioni giganti. Vázquez, che fin da subito, gioca per contrasti e opposizioni, presenta due entità destinate a odiarsi per sempre per un fatto ovvio: la lotta tra uomo e natura. Qui però, ricordiamo, l’uomo è assente. Arriverà in un finale corretto e azzeccato, irreversibilmente creato dalla fusione delle due nature contrapposte, del bene e del male, di assalitori e difensori, di sovrannaturale e immanente, di luci e di ombre.

Oltre che essere un’indagine sull’ipotesi della reale essenza dell’essere umano, Unicorn Wars vuole chiaramente essere un film di denuncia contro la guerra e sulle cause spesso incomprensibili da parte degli invasori. Sebbene l’intento da parte degli orsetti sia quello di espandere la loro egemonia su un terreno pacifico e protetto (un vero e proprio processo di deforestazione, quindi), nessun conflitto, soprattutto se spinto da fanatismi di religione, o dai fantasmi personali del singolo, è mai giusto. Dalla guerra si ottiene solo male e dolore, cinicamente destinato a ripetersi nel tempo. Ed è questa, per Vázquez, la vera natura dell’uomo.

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