Unrest: la gabbia del tempo

 

Con la distribuzione di Unrest, secondo lungometraggio del giovane regista svizzero Cyril Schäublin – vincitore alla Berlinale 2022 dell’Encounters Award come miglior regista proprio per questo film – MUBI si conferma la piattaforma di streaming più attiva nel valorizzare il cinema di nuovi autori emergenti.

Siamo nel 1876 in Svizzera, più precisamente nel paesino di Saint-Imier nel Canton Berna, sede di una di una importante fabbrica di orologi. Proprio qui giunge Pyotr Kropotkin, filosofo e cartografo russo sostenitore dell’anarchismo, che in quel piccolo angolo svizzero è un movimento piuttosto nutrito, sulla scia del fermento ribollente in tutta Europa e nel mondo. Una certa fetta della società infatti, in particolare i lavoratori nelle fabbriche, sente quanto mai necessario uno stravolgimento dal basso delle forme di governo e delle regole costituite, già dominate da un imperante capitalismo corrotto.

Unrest si connota fin da subito come un film corale, dove tutti gli esseri umani, uomini e donne, operai e padroni, sono dominati da un tempo rigidamente cadenzato. Nel paesino infatti ci sono quattro differenti orari: quello comunale, quello della fabbrica, quello della stazione e quello della chiesa. In quasi ogni scena è presente un orologio, che sia appeso al muro o che stia venendo assemblato, e spesso è chiaramente udibile un ticchettio sommesso e penetrante. I suoni e le inquadrature – fisse con le persone che si muovono al suo interno, oppure concentrate sul dettaglio di volti o precisissimi procedimenti di produzione – riflettono questa ossessione per il tempo, che è denaro per i capitalisti, nonché per la fotografia, nuovo mezzo tecnologico che, non a caso, ha proprio il potere di fissare il tempo.

L’elemento umano e industriale, però, è pur sempre inserito nel contesto naturale: spesso le inquadrature sono dominate da fusti di alberi, rami carichi di fogliame, suoni del vento e canti di uccelli. La natura è pervasiva e, proprio come il movimento anarchico, lentamente si insinua tra l’artificiale, in mezzo, davanti e di traverso agli uomini e alle donne che gestiscono la fabbrica e l’ufficio del telegrafo, che si occupano di misurare ossessivamente il tempo come automi, totalmente disumanizzati.

Qui dunque l’anarchismo più che una forma di (non) governo diventa qualcosa che potrebbe riportare l’essere umano a essere tale, a fargli riconquistare la propria umanità, la propria identità umana, al di là degli schemi precisi e soffocanti del tempo artificiale. E questo anche e proprio attraverso mezzi come la mappa anarchica di Kropotkin, una carta geografica che mette al centro la popolazione locale e le proprie denominazioni dei luoghi, rifiutandosi di sottostare alle regole di designazione controllate centralmente, dove l’elemento umano e le differenze tra le persone sono totalmente soggiogati a sistemi fortemente codificati, opprimenti e degradanti.

Ad essere fortemente controllato, poi, non è solo il tempo, ma anche il femminile. In un mondo che sta attraversando mutamenti radicali ma che, come sempre, vuole lasciare le donne ai margini per la loro forza e libertà di pensiero, sono proprio le operaie il cuore pulsante del cambiamento che il movimento anarchico vuole diffondere. Dove il macrocosmo del mondo reale dominato dal maschilismo è mutuato dalla fabbrica di orologi, le donne che ci lavorano si ribellano ai ritmi serrati di lavoro imposti dall’alto, accettando di essere licenziate pur di portare avanti la loro causa, sugellata da un canto corale di rivendicazione della propria identità, non solo femminile ma anche e soprattutto umana, e dell’esigenza di esprimerla: «Rivendichiamo una repubblica del genere umano!».

Questo film prezioso e delicato, proprio come gli orologi che ne sono l’emblema, vuole dunque trasmettere che è quanto mai necessaria – lo era alla fine dell’Ottocento, ma lo è ancor di più oggi – una riconciliazione dell’essere umano con la natura, con dei ritmi più consoni alla stessa natura umana, che non è fatta per essere controllata dal tempo e dalle regole soffocanti della società: un nuovo umanesimo.

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