Bill Russell - Il campione e l’eroe

 

Con Bill Russell: la leggenda dell'NBA si celebra su Netflix, a un anno dalla sua morte, il percorso di un uomo che ha saputo influenzare tantissimo il basket ma anche il mondo americano. Bill Russell non è infatti solo il campione NBA più vincente di sempre, con i suoi 11 titoli e 13 finali, ma anche un attivista che ha saputo schierarsi in prima linea per difendere i diritti delle minoranze. A dirigere questa docu-serie composta da due corposi episodi di quasi due ore ciascuno abbiamo Sam Pollard, regista pluripremiato che vanta anche una candidatura all’Oscar con 4 Little Girls (1997) e che da sempre si dedica a valorizzare gli eroi afroamericani. 

Il documentario si articola in due linee narrative alternate che si incrociano e cercano di sviscerare la figura di Bill Russell da diversi punti di vista facendone un vero e proprio eroe americano. La carriera da cestista con immagini di repertorio e interviste ai più grandi campioni passati e presenti, viene inframezzata dagli avvenimenti più importanti per la lotta ai diritti degli afroamericani. Le vicende del Russell atleta si intersecano infatti con alcuni dei momenti chiave per il paese: il 1955, l’anno della sua Olimpiade, che coincide con il celebre gesto di ribellione di Rosa Parks; il 1963 quando Martin Luther King e il movimento per i diritti civili riescono a catalizzare l’attenzione collettiva; il 1965 con l’assassinio di Malcolm X; il 1966 con la White House Conference e il primo tentativo di parlare a livello istituzionale di un mondo inclusivo; il 1967 con il rifiuto di Mohammed Alì di svolgere il servizio militare; il 1968 con l’assassinio di Martin Luther King. Bill Russell si ritrova protagonista di molti di questi eventi o delle lotte scatenate da essi, dandosi da fare in prima persona per trasformare la propria notorietà in qualcosa di concreto.

Nel documentario, come detto, intervengono alcuni dei più grandi campioni dell’NBA che vanno da Bob Cousy a Jerry West e Oscar Robertson, Magic Johnson e Larry Bird, Kareem Abdul-Jabbar e Shaquille O'Neal, Steph Curry e Chris Paul e la nuova stella dei Celtics, Jayson Tatum. Quello che stona, però, è l’assenza di due grandi come Micheal Jordan e Lebron James che si contendono con Russell il titolo di GOAT ma che, come riportato da Sam Pollard, non sono riusciti ad organizzarsi per intervenire. Struggente è invece l’assenza di Kobe Bryant, che ha purtroppo perso la vita in maniera tragica nel 2020 ma che avrebbe certamente potuto dare il suo contributo nel corso del documentario.

A proposito di Micheal Jordan non si può non fare un paragone con The Last Dance, fenomeno sociale Netflix del 2020. Quello che appare subito evidente, a livello di analogie, è il tentativo di giocare gran parte della storia su uno scontro. Come Jordan, nella serie, ha avuto Jerry Krause, così Russell ha nel mitico Wilt Chamberlain il suo antagonista. I due erano in realtà amici, nonostante il litigio di fine carriera ricucito solo sulla fine degli anni ’90. Nonostante questo è certamente vero che è proprio lo scontro tra i due titani ad aver generato un primo grande interesse verso l’NBA, così come avrebbero fatto negli ’80 Larry Bird e Magic Johnson, ma la narrativa generata appare a tratti eccessiva. Da una parte abbiamo Wilt Chamberlain, uomo egoista, attaccato alle statistiche personali e ai soldi e soprattutto affabile con i bianchi; dall’altra abbiamo Russell, che pensa alla squadra, è vincente ma è più scostante, brusco, arrogante, indecifrabile e soprattutto impegnato nei diritti civili. Anche l’amicizia tra i due viene ad un certo punto maliziosamente interpretata come un modo che aveva il furbo Russell per rendere più molle Chamberlain negli eterni scontri che li hanno frapposti.

Resta il fatto che solo una volta Chamberlain, l’uomo dai 100 punti e record individuali incalcolabili, con i suoi Sixers è riuscito a battere i Celtics in quegli anni. La dicotomia tra i due mette per altro sotto traccia la grande rivalità che si venne a creare proprio in quegli anni tra i Celtics e i Lakers di Jarry West, che più volte si incontrarono in finale vedendo però prevalere la squadra di Boston. A proposito di The Last Dance abbiamo anche il momento “I took it personal” quando Russell, nell’ultima finale giocata da giocatore e allenatore nel 1969, vedendo in gara già pronti i palloncini per festeggiare la vittoria dei Lakers decide che avrebbe vinto la partita.

I paragoni tra i due documentari terminano però qui complice anche l’assenza del grande protagonista, Bill Russell, per la sua dipartita. In realtà il cestista è molto presente nel documentario perché sono state recuperate interviste e vengono letti continuamente brani tratti dai suoi libri o interviste scritte. Le differenze tra Jordan e Russell sono per altro molteplici: da una parte abbiamo un business man ossessionato dalla vittoria e dalle sfide, dall’altra, almeno seguendo la narrazione portata avanti dalla serie, un uomo che non sempre riusciva a scendere a patti con il suo sport, che reputava ridicolo se confrontato con l’enormità delle problematiche che affliggevano i neri e gli oppressi. Bisogna inoltre ricordare che al suo arrivo in NBA, il basket era uno sport di bianchi e generalmente in campo veniva messo massimo un giocatore nero alla volta. Saranno proprio i Celtics, con il visionario coach Red Auerbach, a schierare per la prima volta un quintetto di soli cestisti neri.

Russell viene inoltre presentato come un uomo colto, che amava leggere e studiare, che da piccolo si perdeva nei libri di arte per cercare di ricostruire le opere dei grandi pittori a memoria e si era ritrovato, invece, a disegnare nella sua mente e poi riprodurre schemi e momenti di gioco. Più, insomma, che The Last Dance, la docu-serie su Russell, con la sua focalizzazione per la contestualizzazione socio-culturale, ricorda Chi ha ucciso Malcolm X?, seppur più “investigativo”, sempre presente su Netflix. Lì, infatti, assieme alla ricerca dei veri assassini dell’attivista americano, si cercava di ricostruire il contesto in cui operava e i principali avvenimenti che avevano segnato la sua vita e i momenti precedenti e successivi all’omicidio di Malcolm X.

Bill Russell: la leggenda dell'NBA è un documentario confezionato in maniera egregia che può interessare un target estremamente variegato, grazie alla sua capacità di spiegare in maniera puntuale gli aspetti principali della vita dell’atleta ma anche, come detto, il contesto socio-culturale di riferimento. Questo elemento fornisce informazioni preziose sia a chi è un conoscitore del basket e della figura di Russell, sia a chi ne è completamente digiuno. Il documentario è ovviamente un omaggio ed è costruito per dare al suo protagonista un ruolo di rilievo nella storia dello sport e degli Stati Uniti in generale. Non è un caso che, nelle fasi conclusive, ci si soffermi sulla medaglia della libertà consegnata dall’allora presidente Barack Obama. Tutte le interviste sono orchestrate per dare allo spettatore l’impressione di quanto Russell fosse un gigante sia in campo che fuori e quanto grande sia stato il suo ruolo per quelli che, dopo di lui, hanno voluto seguire le sue orme. Per questo motivo se all’apparenza il documentario si presenta come partecipativo, emerge chiaramente il coinvolgimento emotivo spostandolo in parte verso il documentario performativo. 

In conclusione la docu-serie su Bill Russell è un modo per conoscere un pezzo di storia statunitense attraverso un atleta che, tra i primi, ha saputo sfruttare la sua notorietà per influire mediaticamente nel cambiamento del proprio paese.

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