Incastrati 2- Non solo cliché

 

Ficarra e Picone sono nuovamente alle prese con la malavita organizzata nella seconda stagione di Incastrati, una crime-comedy che cerca di muoversi tra farsa degli equivoci, ironia autoriflessiva e stereotipi sulla Sicilia.

La serie Netflix scritta, diretta e interpretata dai due comici prosegue sulla linea della precedente stagione, mantenendo una struttura più da film frammentato che da autentico prodotto seriale e alternando momenti godibili a situazioni stiracchiate.

Incastrati 2 si apre dove si era chiusa la prima stagione, la quale terminava con un cliffhanger che preannunciava nuovi guai per Salvo e Valentino.

Nuovamente minacciati dalla cosca mafiosa del boss Padre Santissimo, Ficarra e Picone sono costretti a mentire a parenti e ad amici, innescando così una nuova e tortuosa serie di equivoci e malintesi, dove il binomio bugia/verità diventa il leitmotiv comico principale ma anche una riflessione sui rapporti umani.

Il meccanismo del sotterfugio riporta a quelle commedie farsesche degli anni Sessanta interpretate da attori come Raimondo Vianello o Mario Carotenuto, in cui gli uomini mentivano sempre alle proprie mogli e solitamente per questioni di corna.

In Incastrati la bugia da tradimento extraconiugale si mescola a quella detta sotto pressione di un ricatto mafioso, ma in un modo o nell’altro fa sempre apparire la strana coppia di amici come due bugiardi impenitenti, sia agli occhi della malavita che a quelli della giustizia.

Ficarra e Picone seguendo le orme di Franco e Ciccio sono stati in grado (tra alti e bassi) di evolvere la propria comicità cabarettistica sia sul versante della commedia popolare (L’ora legale è un gioiellino) che su quello dell’impegno autoriale (il recente La stranezza e lo spettacolo teatrale Le rane tratto da Aristofane), fondando sempre di più il loro humor su calembour e fraintendimenti verbali.

La cosa che più funziona in questa serie è proprio l’incastro fra i giochi di parole e la fisiognomica della coppia, a cui si affianca una curiosa dimensione meta-seriale in grado di analizzare dettagliatamente il linguaggio delle serie poliziesche e i suoi meccanismi narrativi.

La dipendenza di Salvo per la crime-serie The Touch of the Killer e il suo prequel The Look of the Killer (già presente nella prima stagione), in questa nuova manciata di brevi episodi arriva a contagiare persino l’ex moglie Ester (Anna Favella) e il procuratore Nicolosi (Leo Gullotta), mentre Robertino, figlio della compagna di Valentino, cita a più riprese le strategie investigative della serie The Body of the Language.

Questi rimandi interni al prodotto si chiudono con un colpo di coda finale, in grado di creare un gioco di specchi tra la serie stessa e quella principalmente citata al suo interno.

Incastrati 2 se da un lato espande e affina il meccanismo autoriflessivo, dall’altro esaspera cliché precostituiti sul mezzogiorno (la madre soffocante di Valentino e i suoi piatti ipercalorici, i mafiosi che cucinano la salsa di pomodoro), inserendo anche una certa dose di macchiettismo camaleontico (il sogno di Salvo in tripla veste) che avvicina il prodotto a un certo kitsch premeditato stile Cetto La Qualunque.

Questa seconda e ultima stagione, presenta gli stessi pregi e limiti di scrittura della precedente, ampliando (forse) esageratamente l’intreccio poliziesco e deragliando a volte il prodotto sui binari della classica fiction in stile Carabinieri e Don Matteo, inficiando così il meccanismo comico della vicenda.

Ma il tema della mafia è trattato in maniera efficace e sentita, con alcuni momenti illuminanti che superano la semplice parodia, culminando nell’apologo finale di Gullotta dedicato a tutti coloro che sono morti combattendo la corruzione. Un colpo di coda inaspettato che dimostra quanto siano cresciuti i due Nati stanchi dello Zelig di vent’anni fa.

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