Il fabbricante di lacrime: una nuova vetta del trash?

 
 

There’s no such thing as bad press. Questa celebre citazione sembra riassumere alla perfezione le dinamiche che hanno portato all’avvento del fenomeno Il fabbricante di lacrime. Il titolo che in 10 giorni si è aggiudicato il podio come film in lingua non inglese più visto di sempre su Netflix è diventato da subito oggetto di dibattiti, meme e critiche. Da chi già lo innalza all’Olimpo dei trash movies, all’esercito di lettori che l’ha atteso per mesi, ognuno sembra avere qualcosa da dire a riguardo. E noi non siamo certo da meno.

Iniziamo col dire che nessun aspetto del progetto è stato lasciato alla casualità (semicit.) e che già prima dell’annuncio della sua uscita, il nutrito fandom dell’omonimo romanzo - oltre 450 mila copie vendute - era in trepidante attesa che il libro venisse adattato al grande schermo. Quella dell’adattamento da romanzi bestseller a film non è certo una strategia inedita, ma, dall’incredibile successo dello Young Adult After, il fenomeno si è espanso a macchia d’olio oltrepassando i confini statunitensi per approdare in Europa. Era solo una questione di tempo prima che arrivasse anche il turno dell’Italia, e con una gallina dalle uova d’oro come Erin Doom a portata di mano, il gruppo Rainbow non si è fatto sfuggire l’occasione. 

Qui avremmo già il terreno spianato per l’annoso conflitto che contrappone chi critica il panorama cinematografico italiano per avere tempi di reazione glaciali ai cambiamenti del mercato internazionale e chi, invece, ripudia ogni contaminazione derivante dalle americanate oltreoceano. Ma focalizziamoci prima sul film in esame: cosa ci racconta Il fabbricante di lacrime?

In un’ambientazione fumosa che sembra oscillare da Forks ad un qualsiasi quartiere residenziale dell'hinterland milanese dotato di liceo in stile high school americana, l’adolescente orfana Nica cerca di iniziare la sua nuova vita con i genitori che l’hanno scelta al Grave (l’orfanotrofio in cui ha vissuto per dieci anni). Insieme a lei, la coppia sceglie all’ultimo momento di adottare anche Nigel, coetaneo di Nica e da sempre estremamente ostile nei confronti della ragazza. Basteranno pochi minuti per intuire (senza un grande sforzo) che questa ostilità nasconde in realtà un’irresistibile attrazione provata dal ragazzo nei confronti della protagonista. La loro storia d’amore, ostacolata dal fatto di essere appena diventati fratelli e dalla convinzione di Nigel di non meritare l’amore della ragazza, dovrebbe essere il motore narrativo di tutta la vicenda. Il risultato finale é però l’ennesima relazione stancamente soft porno e moderatamente tossica priva di chimica o escamotage particolarmente originali. Ciò che trascina lo spettatore fino alla fine del film è, in gran parte, il desiderio masochista di scoprire quanti cliché si possono smarcare dalla lista propria del genere, il contorto piacere dato dal cringe osservato a debita distanza. E l’attesa viene pienamente ripagata dalla scena di inseguimento più lenta mai girata nella storia del cinema e da un’arringa finale dalla retorica buonista e infantile degna di un classico Disney. 

In parole povere, Il fabbricante di lacrime non può essere considerato un capolavoro del genere, nonostante l’incredibile numero di visualizzazioni raggiunto. Ma quanto questo rappresenta realmente un problema? Mi spiego meglio: da un lato, abbiamo la questione legata al dispiegamento di budget per la realizzazione di un film dal dubbio contenuto artistico e la storia che mette al centro (sebbene in misura minore rispetto ad altri titolo dello stesso genere) delle dinamiche relazionali irrealistiche e problematiche tra cui una tentata aggressione sessuale sventata dal tenebroso Nigel e seguita immediatamente dopo dal primo rapporto tra i due protagonisti, come a mostrare che Nica non sia turbata dall’accaduto a patto che si trovi tra le braccia del suo salvatore. Queste considerazioni, ovviamente molto più complesse di come presentate all’interno di questo articolo, si scontrano però con una realtà che rappresenta il fulcro di ogni decisione presa in merito ai progetti da produrre: il pubblico.

Che piaccia o meno, è il pubblico a farla da padrone. Ed è alle sue esigenze che si deve rispondere se si vuole sperare di approdare in piattaforma. Ė proprio qui che si cela l’elemento vincente e più interessante del fenomeno Il fabbricante di lacrime, sia esso volontario o collaterale: aver intercettato un duplice target. Da un lato, quello che sapevano di avere già in pugno ossia i sinceri fan del romanzo; dall'altro, una categoria molto meno lusinghiera ma altrettanto nutrita di spettatori che hanno visto il film con un unico obiettivo: poterne parlare male. Ci sono poche cose, infatti, che uniscono le persone come il dissezionare un prodotto, sia esso un libro, un film o una serie, in ogni sua piccola parte per demolirla traendone un piacere un po’ contorto ma pienamente soddisfacente. Il fabbricante di lacrime conteneva sin dall’inizio tutti gli elementi per renderlo il film perfetto per la categoria degli haters, che infatti non ha tardato ad arrivare.

Non è certo la prima volta che questo succede: ci sono film che, con gli anni, si sono guadagnati un posto di diritto nell’olimpo dei film trash di culto; molti altri si sono persi nel mare magnum di titoli. Pochissimi sono stati redenti col passare del tempo. Sta di fatto che queste due categorie di pubblico hanno contribuito, insieme ma in maniera decisamente opposta, a lanciare il titolo nella top 10 dei film in lingua non inglese più visti di sempre su Netflix, un risultato totalmente inedito. Certo, sarebbe stato più edificante raggiungerlo con un prodotto più sofisticato e culturalmente stimolante che potesse lanciare dei giovani talenti italiani nel panorama internazionale (cosa che sta accadendo sempre più spesso ma ancora troppo poco e sporadicamente). È però impossibile fingere che un certo tipo di pubblico italiano abbia gusti diversi da quelli dimostrati: ogni platea è figlia del suo tempo e della sua (non) cultura. È vero anche che spesso tale gusto è determinato dalla mancanza di input culturalmente stimolanti e complessi, ma a modo suo Il fabbricante di lacrime è stato un progetto inedito per il mercato Italiano, in grado di scuotere le certezze dell’industria e del pubblico. E chissà che tra qualche anno non diventi il guilty pleasure di riferimento per un’intera generazione, soppiantando gli ormai superati vampiri rilucenti.

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