La Bella Stagione

 

Diretto da Marco Ponti e tratto dall’omonimo libro di Gianluca Vialli e Roberto Mancini, La bella stagione (2022) è stato annunciato come un film sulla Sampdoria che conquistò lo scudetto nel campionato 1990-91. Uscito nel pieno dell’attuale crisi della squadra genovese, il documentario afferma l’orgoglio di una squadra che voleva vincere e la cui vittoria si configura, come viene detto esplicitamente nel film, come un successo contro i “poteri forti” del calcio. La prematura scomparsa di Gianluca Vialli ha ovviamente amplificato il valore emotivo dell’opera di Ponti che, infatti, è stata trasmessa da Rai2 lo scorso 7 gennaio quale omaggio al giocatore e che è ora disponibile su RaiPlay. Il documentario ha una sicura rilevanza per chi quella bella stagione l’ha vissuta andando allo stadio da tifoso, ma anche per un pubblico più generale che ha conosciuto Vialli e Mancini come giocatori e allenatori di altre squadre di calcio, come fautori del successo della Nazionale all’Europeo del 2020 o come personalità televisive.

Tuttavia, non siamo di fronte ad un semplice, per quanto ben congegnato, amarcord, ad un’esaltazione dei valori dell’amicizia e del fare squadra per vincere le difficoltà. Il film di Ponti, che aveva già evocato il mondo del calcio nel titolo del suo primo lungometraggio Santa Maradona (2001), mutuandolo da una canzone del gruppo “Mano Negra”, mette in scena una narrazione sulla mascolinità e sui rapporti omosociali nel calcio, drammatizzando sentimenti, fragilità, complicità e rivalità maschili. Citare Santa Maradona non è mero biografismo autoriale: per il regista il titolo del suo primo film richiama “contrasti forti” e una complessità di elementi positivi e negativi di cui si nutrono i suoi personaggi.

L’amicizia è certamente invocata in tutte le testimonianze dei giocatori e l’apparente mancanza di gerarchie metaforizzata attraverso l’idea di famiglia, ovviamente con due padri, il Presidente Mantovani e l’allenatore Boskov, e in cui hanno pari diritto di parola anche i due magazzinieri (che forniscono anche un meccanismo di comic relief per gli spettatori più generalisti). Eppure, il ritratto complessivo diventa più complesso con la progressione del campionato: la narrazione della crisi della squadra dopo un avvio brillante, del suo superamento e del successo finale non manca di evidenziare le gerarchie dello spogliatoio e l’emarginazione del capitano, Luca Pellegrini, perché non ritenuto abbastanza in forma per il posto da titolare. Significativamente, il trauma dell’esclusione del capitano durante una cena nel solito ristorante a cui partecipa tutta la squadra viene rivissuto nel presente con la ricostruzione della cena nella finzione documentaristica, oltre che attraverso la testimonianza dello stesso Pellegrini, che racconta di aver preferito la tribuna alla panchina: “un capitano non va in panchina”.

“Sampdoria è come bella ragazza che tutti vogliono dare baci”. Citata nel film come la più iconica delle grammaticalmente fantasiose frasi di Boskov, l’affermazione rivela La bella stagione come una narrazione omosociale di formazione della mascolinità, da cui le donne sono ovviamente escluse o marginali, come Aleksandra Boskov e Francesca Mantovani, che lamenta la maggiore tolleranza del padre nei confronti dei giocatori rispetto a quella che accordava a lei. La struttura dell’intervista a coppia, o del richiamo al compagno quando l’intervista è singola (come nei casi di Vierchovod, Cerezo e Pagliuca), conferma questa rete di relazioni esclusive tra maschi. Da eterne promesse, da potenziali campioni corteggiati dalle grandi squadre ma da sempre incapaci di quella concretezza vincente da uomini – caratteristiche che la frase del padre putativo Boskov consegna alla minaccia della sfera femminile – i giocatori dello scudetto transitano finalmente verso la loro maturità maschile.

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