Mixed by Erry: una metafora transmediale

 
 

Dopo Smetto quando voglio (2014) e L'incredibile storia dell'Isola delle Rose (2020), Sydney Sibilla mette in scena per la terza volta una vicenda che ruota intorno a giovani audaci e sprovveduti che danno vita, inconsapevolmente, a una sorta di rivoluzione culturale pop e si trovano loro malgrado a diventare improbabili nemici dello Stato. In questo caso il ragazzo in questione è Enrico “Erry” Frattasio (Luigi D’Oriano), che negli anni ’80, insieme ai due fratelli, crea un impero grazie alla distribuzione di mixtape pirata.

Partendo da una narrazione che ricorda i biopic dei grandi pionieri della Silicon Valley, come The Social Network (2010) e Jobs (2013), Mixed by Erry assume una dimensione universale, soprattutto in relazione alle dinamiche del mondo dello streaming. A questo proposito la collocazione della pellicola nel catalogo di Netflix risulta particolarmente calzante e fornisce il punto di partenza per un paragone tra la trama del film e la parabola dell’azienda statunitense. La minaccia che l’espansione dell’attività di Erry rappresenta per l’industria musicale ricorda le paranoie che hanno accompagnato l’ascesa di Netflix e delle altre piattaforme di streaming. E se l’operato dei Frattasio è inequivocabilmente legato alla pirateria, l’ambiguità del posizionamento normativo in cui si muove Netflix (in particolare negli anni della sua prima espansione a livello globale) lo accomuna alla figura del corsaro, legalmente autorizzato ma non per questo meno temuto.

Lo stesso funzionamento dell’azienda ricorda in maniera impressionante quello del colosso dello streaming. Le compilation che crea Erry, calibrate sul genere, sulle preferenze e sui gusti degli acquirenti, si basano sullo stesso principio di esperienza personalizzata che spinge l’algoritmo di Netflix tanto quanto le playlist di Spotify. Una volta accumulato un grande patrimonio con le vendite delle musicassette, Erry vuole mettere in atto un’opera di mecenatismo, inserendo nei suoi mixtape delle tracce di artisti emergenti. Questa operazione non può non far pensare alla svolta produttiva di Netflix che, accanto alla sua principale funzione di distributore, realizza ormai da tempo contenuti originali, anche rivolti a target locali.

Perfino l’ambientazione anni ’80 rientra perfettamente nella corrente nostalgica cui i contenuti della piattaforma fanno spesso ricorso, primo fra tutti Stranger Things (2016-). Tuttavia il personaggio di Erry, un nerd dai manierismi alla Troisi, è più vicino alla figura di puro visionario di Giulio Rosa che a quella di ambizioso imprenditore. L’interesse esclusivo del protagonista per la musica, slegato dal desiderio di ritorno economico, sembra una precisa dichiarazione da parte di Sibilla, uno schieramento dalla parte dell’arte. Questa presa di posizione è esplicitata nel momento in cui Erry, il creativo, si rivolge all’amministratore delegato Barambani (Fabrizio Gifuni), l’industria, per spiegargli che “Tu la musica la puoi suonare, la puoi riprodurre, la puoi pure digitalizzare. Ma non la puoi mai fermare”. Questa massima vale anche per il cinema. Che lo si proietti in sala o lo si riproduca sullo schermo di un laptop, niente e nessuno lo può contenere.

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