La meravigliosa storia di Henry Sugar: 40 minuti di pura magia firmati Wes Anderson

 
 

Dopo Fantastic Mr Fox, Wes Anderson torna a cimentarsi nella trasposizione dei racconti di Roal Dahl con quattro corti disponibili su Netflix. Il più lungo di questi, quasi 40 minuti, è La meravigliosa storia di Henry Sugar (The Wonderful Story of Henry Sugar) che è stato presentato all'ultimo Festival di Venezia, ed è tratto dal libro Un gioco da ragazzi e altre storie.

La storia ci viene direttamente raccontata dallo scrittore, interpretato da Ralph Fiennes, che dal suo studio inizia a narrarci la storia di Henry Sugar, Benedict Cumberbatch, un ricco signorotto annoiato. Un giorno entra in possesso di un libro che narra di una vicenda ambientata in India, dove il signor Imdad Khan, Ben Kingsley, aveva appreso da un vecchio yogi l'arte di vedere senza usare gli occhi. Da buon occidentale Henry decide di imparare quella stessa tecnica per poter barare giocando a carte e guadagnare ancora più soldi, sebbene durante il suo apprendimento, il suo obiettivo cambierà e scoprirà una parte nuova di sé.

La vicenda viene narrata in prima persona dai suoi personaggi direttamente a noi spettatori, anche attraverso i continui sguardi fissi in camera. Lo stile è quello inconfondibile di Wes Anderson che, con le sue sue simmetrie e i colori pastello, ci conduce attraverso la favola, non rinunciando a svelare al pubblico gli artifici del set cinematografico, che comunque rendono ancora più diretto e coinvolgente il susseguirsi delle vicende.  

Ad ogni modo, la forte impronta stilistica del regista non offusca quella dello scrittore. Infatti, lo stile di Anderson ben si adatta alle ambientazioni e ai personaggi mai scontati di Dahl. Questa chimica artistica è dovuta al fatto che Anderson riesce a trasmettere la giusta dose di inquietudine che contraddistingue le opere dello scrittore britannico. Buona parte del suo immaginario proviene dalle lunghe estati dell'infanzia passate dalla famiglia materna in Norvegia, dove i suoi nonni gli raccontavano le leggende norrene abitate da giganti, streghe e altre creature. Storie di un popolo che è stato plasmato da una terra severa e antica, dove i protagonisti devono prendersi la responsabilità delle proprie azioni, anche se bambini, e dove la magia fa parte della vita quotidiana.

Questo immaginario e i modi di fare diretti della gente del Nord, sono certo rimasti impressi anche nel Dahl adulto e che viene sapientemente ripreso da Anderson. Il regista riesce a regalarci 40 minuti di sogno, che non nascondono anche una critica verso il colonialismo, impersonato da Sir Henry che da ricco britannico cerca di piegare, fallendo, una antica tradizione indiana per i suoi loschi scopi. Cercando dentro di sé Henry, e noi pubblico con lui, impara a razionalizzare i suoi sforzi, a focalizzarsi su ciò che veramente conta. Il segreto sta tutto nel vedere senza guardare, entrare in contatto col tutto in modo da percepirlo perfettamente.

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